La viticultura nel territorio di Giacciano con Baruchella
Il territorio di Giacciano con Baruchella è completamente pianeggiante e bagnato dal fiume Tartaro-Canalbianco e dai canali Scolo Malopera e Fossa Maestra, che occupano in parte gli alvei di due storiche "rotte" dell'Adige, chiamate rotta della Malopera e rotta del Castagnaro.
L'economia del comune di Giacciano con Baruchella grazie ad un terreno molto fertile è fondata da sempre prevalentemente su un’agricoltura molto diversificata: barbabietole, mais, grano, patate, frutteti e viti.
Nonostante lo sviluppo di attività artigianali e commerciali, l’agricoltura resta la principale attività degli abitanti, favorita anche dalla presenza di importanti cooperative per la conservazione della frutta (tra cui anche l’esotico kiwi) e la vinificazione, e frutteti e vigneti ricoprono buona parte del territorio.
Il territorio fu soggetto a numerose alluvioni e restò coperto dalle acque per lunghissimi periodi e per gran parte della sua superficie creando delle terre torbose, medio impasto e sabbiose. In particolare le rotte dell’Adige e di altri corsi d’acqua (Castagnaro,Tartaro, Canal Bianco). La viticoltura nel nostro paese ha origini antiche anche se la sua diffusione assunse una certa importanza dopo le bonifiche del 1400-500 ad opera dell’Abbazia della Vangadizza, ma soprattutto dopo le opere di bonifica nei secoli XVII e XIX ad opera della nobile famiglia Bentivoglio.
Secondo degli storici locali, si coltivavano diverse varietà di viti: merlot, sangiovese, lambrusco, raboso, cabernet, clinto, clinton, clintin, trebbiano, vernazola, malvasia, castelli romani. Non erano da disprezzare varietà ad uso familiare di uve da tavola quali l’uva fragola e l’americana. Ogni campo più o meno grande aveva il suo filare di viti “maritate” (cioè appoggiate ad alberi di salici, pioppo, olmi, gelsi e qualche noce). Le viti erano mediocri, piccole e legate agli alberi alla distanza di 4-5 metri.
Le varietà coltivate erano allevate nelle classiche forme in volume di un tempo. Le produzioni di vino erano scarse e indirizzate prevalentemente al consumo familiare o locale.
A partire dal dopo guerra con l’arrivo della viticoltura intensiva questi vitigni autoctoni furono progressivamente sostituiti con varietà più produttive; questa scelta con il passare del tempo si è rilevata errata, visto che nel territorio la superficie coltivata a vite si era ormai ridotta a poche decine di ettari.
Alcune varietà erano fiorenti fino a qualche decennio fa: piacentina, cremonese, benedina, negretta, corbina, groppello bianco, lugana, barzegana, mattarella, negretta (detta “spissaciona”), l’uva d’oro (a raspo rosso) ed il marzemino; l’ibrido francese ed il clinto bianco sono oramai molto rare.
Queste varietà locali si pensavano ormai scomparse e per non perdere questo patrimonio genetico, alcuni viticoltori e amatori hanno costituito un gruppo per il loro recupero: Associazione Vini Storici Polesani.